MACEDONIA - Viviana Premazzi
Marzo - 2013
Nel 1991 la Macedonia si staccò pacificamente dalla Jugoslavia. A oltre 20 anni dall’indipendenza il suo nome è ancora incerto, perché la confinante Grecia lo rivendica. Dalle regioni macedoni sono emigrati in moltissimi: 700 mila su una popolazione di poco superiore ai 2 milioni. In Italia ne sono arrivati - legalmente o illegalmente - un numero importante: ventimila nel solo Veneto. Il matrimonio di Azra ed Enis, due giovani emigrati macedoni, è l’occasione per conoscere un paese tanto vicino quanto sconosciuto.Scene da un matrimonio
Dalla Macedonia, un paese quasi sconosciutoLa Macedonia è uno di quei «nuovi» stati che difficilmente la gente sa collocare su una cartina geografica e di cui, ancor meno, sa descrivere la storia. Questo potrebbe essere dovuto al fatto che è una ex repubblica jugoslava arrivata all'indipendenza - era l’8 settembre del 1991 - senza passare per una guerra, o i cui scontri etnici interni tra albanesi e macedoni, nei primi anni 2000, non sono stati considerati degni dell'attenzione della stampa occidentale.
L’EMIGRAZIONE HA SVUOTATO I VILLAGGISecondo Risto Karajkov, collaboratore di Osservatorio Balcani e Caucaso, uno dei siti più autorevoli nel panorama dell'informazione sui Balcani in Italia: «Si stima che la diaspora macedone all'estero sia attorno alle 700.000 persone (su 2,1 milioni di cittadini), anche se non vi è alcuna istituzione in Macedonia in grado di fornire statistiche attendibili sul livello di emigrazione dal paese. L'unica conclusione, riportata ripetutamente dai media, è che è massiccia». Nell'articolo pubblicato sul sito spiega come tradizionalmente fossero «le regioni più povere e con scarse condizioni per sviluppare l'agricoltura ad alimentare i flussi migratori, mentre negli ultimi anni sono anche le regioni più ricche a perdere manodopera contribuendo a creare il mito di pecalba (la migrazione economica), la nostalgia per la madrepatria, le vite consumate lontano dalla propria famiglia e dai propri cari». Lo scenario che si presenta a chi arriva nei villaggi della campagna macedone - tranne nel mese di agosto - è di abbandono e desolazione: a causa dell'emigrazione. Nei villaggi sono rimasti solo gli anziani e chi riesce ancora a portare avanti il lavoro nei campi, e con esso a mantenersi. I giovani che non riescono o hanno scelto di non emigrare abbandonano comunque i villaggi per andare a cercare fortuna in città, soprattutto a Skopje, la capitale. Karajkov mette comunque in luce che «non si tratta di un processo nuovo: è iniziato più di cinquant'anni fa anche se, col passare del tempo, le sue conseguenze sono sempre più visibili. Oggi in Macedonia ci sono 458 villaggi che hanno meno di 50 abitanti, tra questi oltre 100 che hanno meno di 10 abitanti. L'Ufficio statale per le statistiche riporta, infatti, un totale di 147 villaggi che attualmente sono completamente vuoti».
LE STRADE PER L’ITALIAI Macedoni che emigrano in Italia scelgono prevalentemente le regioni del Nord e, tra le città, Treviso e Piacenza, quest’ultima addirittura ribattezzata Strumicenza per l’alto numero di persone emigrate dalla regione macedone che porta il nome di Strumica.
Secondo Osservatorio Balcani «circa 5.000 cittadini macedoni migrano ogni anno verso il nostro paese». Si può arrivare in Italia legalmente, ottenendo un passaporto bulgaro (in quanto appartenenti alla minoranza macedone in Bulgaria) o grazie a parenti o amici già residenti in Italia che facciano da datori di lavoro. O in maniera irregolare - come è il caso di molti migranti, non solo macedoni -, spesso diventando vittime di ricatti ed estorsioni per viaggi della speranza in condizioni estreme e false promesse di lavoro.
Nell'inchiesta sulle comunità balcaniche a Piacenza, realizzata per «Piacenza Sera» dal giornalista freelance Gaetano Gasparini, viene sottolineato il peso della diaspora macedone in questa città: sono ben 1939, il che ne fa il secondo gruppo etnico della città. I macedoni, si legge nell'inchiesta, sono «lavoratori con nuclei famigliari stabili e una seconda generazione già avviata». In Italia le prime generazioni macedoni lavorano principalmente (per lo meno all'inizio delle loro carriere lavorative) nel settore dell'edilizia, anche se non sono rari i casi di avviamento di attività imprenditoriali autonome dopo alcuni anni di lavoro dipendente, non per forza nello stesso settore, come testimonia un immigrato di origini macedoni intervistato nel corso dell'inchiesta. «Sono arrivato a Piacenza nel 1999, anch'io sono stato clandestino per un paio d'anni. Ho lavorato duro come manovale e poi come camionista, alla fine sono riuscito a realizzare il mio sogno ovvero aprire un salone di parrucchiere». Le seconde generazioni spesso seguono i percorsi professionali già avviati dai genitori nonostante comincino a emergere scelte diverse e più autonome, come l’avvio di attività transnazionali tra l'Italia e la Macedonia.
IL MATRIMONIO DI AZRA ED ENIS Dall'aeroporto di Treviso partono voli diretti per Skopje due volte alla settimana. La maggior parte dei Macedoni residenti in Italia vive infatti in Veneto (19.870 persone alla fine del 2010, 7.686 solo nella provincia di Treviso). In alcune regioni della Macedonia, soprattutto nella parte occidentale, la lingua italiana, così come il dialetto veneto, sono estremamente diffusi per l'altissimo numero di immigrati macedoni in questa regione dovuto alle catene migratorie (parenti e amici) che dagli anni '90 hanno cominciato a legare alcuni villaggi macedoni alle città del Veneto. Durante l'estate i villaggi, quasi completamente disabitati nei mesi invernali, sembrano tornare a vivere. Per le vacanze infatti la diaspora macedone torna, rigorosamente su macchine con targa italiana, dall'Italia alla Macedonia, per trascorrere le vacanze nel proprio paese di origine, visitare i parenti rimasti lì o rientrati anch'essi per le vacanze, sistemare alcuni affari e celebrare feste e momenti importanti, come i matrimoni. Il mese di agosto sembra infatti essersi ormai trasformato nel mese dei matrimoni. Il matrimonio cui abbiamo avuto il privilegio di partecipare è stato celebrato nel villaggio di Borovec, nella provincia di Struga, nella parte occidentale della Repubblica di Macedonia. Gli sposi erano Azra ed Enis, due giovanissimi macedoni, residenti in Italia (anzi, per essere precisi, figli di immigrati macedoni in Italia, quelli che vengono chiamati «seconda generazione»). In queste zone vivono i Torbeshi, una comunità che hanno affinità sia con i Pomacchi dei Monti Rodopi sia con i Gorani di Albania e Kosovo. Anche tra i Torbeshi ci sono moltissimi immigrati in Italia detti pechalbari (emigranti, appunto). I matrimoni tra i Torbeshi si festeggiano secondo l'antica tradizione e durano per tre giorni. Flauti e tamburi, sax e fisarmoniche accompagnano le danze che si ripetono senza sosta giorno e notte, perché nei matrimoni macedoni ballare è molto più importante che mangiare.
Anche il matrimonio di Borovec è stato celebrato nel rispetto di tutte le tradizioni dei Torbeshi, custodite dagli anziani della comunità: mentre i festeggiamenti, canti e balli, erano in corso a casa dello sposo, un gruppo di uomini, parenti dello sposo, è partito per incontrare gli uomini della famiglia della sposa e «sigillare con loro l'affare del matrimonio». Poi la sposa è stata coperta con un broccato, «rapita» e portata a casa dello sposo.
Nelle comunità musulmane macedoni, lo sposo e sua madre non prendono parte al corteo nuziale che conduce la sposa dalla sua casa natale a quella dello sposo, ma la attendono insieme alle donne della famiglia. Queste accolgono la futura sposa all'entrata del paese, mostrando in questo modo la propria approvazione, poiché, attraverso il matrimonio, una nuova donna entrerà a far parte della famiglia. La sposa viene accolta con canti e danze e accompagnata così fino a casa dello sposo. Lo sposo dalla propria casa cerca di vedere «di nascosto» la sposa attraverso un anello, pronunciando una formula rituale di buon auspicio. A quel punto la sposa entra nella casa dello sposo e riceve offerte dai testimoni dello sposo che «riempiono» di soldi le sue scarpe fino a quando «potrà calzarle». La sposa per la maggior parte del tempo tiene gli occhi bassi e non sorride, mostrando così la tristezza per aver abbandonato la propria famiglia e la propria madre, mentre la suocera celebra la sua gioia nell'aver acquisito una nuora. I festeggiamenti durano per tre giorni, le donne indossano vestiti tradizionali ricamati a mano e tutta la comunità si riunisce attorno agli sposi riconoscendo e benedicendo la loro unione. Quelli che si svolgono d'estate in Macedonia sono matrimoni tradizionali, ma che non hanno alcun valore legale o religioso. La benedizione dell'Imam, infatti, i futuri sposi l'hanno ricevuta un anno prima, in occasione del fidanzamento ufficiale e il matrimonio civile viene contratto in comune nei giorni successivi, ma come mera formalità. Questo dimostra l'importanza della tradizione comunitaria che sacralizza i legami tra i suoi membri e la loro appartenenza a essa.
EMIGRAZIONE DI PERSONE…A un'analisi più approfondita ci si rende conto che i matrimoni (così come altre celebrazioni importanti) che gli emigrati continuano a celebrare nel paese di origine, servono, soprattutto alle prime generazioni, per espiare una «colpa» (quella di aver lasciato il paese) e controbilanciare l'effetto perturbatore suscitato dall'emigrazione. La naturalizzazione degli immigrati e, in maniera ancora maggiore, l'ottenimento della cittadinanza italiana per i loro figli, infatti, rendono retrospettivamente più chiara la funzione disgregante che l'emigrazione ha per le comunità di origine quando essa è protratta nel tempo, quando si ripete per un grande numero di individui, uomini e donne, e di famiglie. Come dice il sociologo Sayad nel libro La doppia assenza, infatti: «Emigrare significa “disertare”, “tradire”. In un certo modo significa indebolire la comunità da cui ci si separa, anche quando lo si fa, appunto, per rinforzarla, per favorire la sua prosperità. Ogni partenza e ogni emigrato rappresentano altrettante mutilazioni. Così, a partire dalla stessa origine dell'emigrazione, si comprende come essa contenga i rischi di una rottura con lo spirito e non soltanto con il corpo. Si capisce, così, che per far in modo che il tabù della naturalizzazione funzioni, non è sufficiente biasimarla e biasimare il naturalizzato, ma bisogna sacralizzare (nel senso forte del termine) la comunità e l'appartenenza indefettibile (un tipo di fedeltà assoluta) alla comunità in quanto gruppo sociale, e sacralizzare a sua volta il gruppo in quanto struttura o insieme di strutture comunitarie - che è ciò che succede, ad esempio, coi matrimoni. Bisogna sacralizzare i legami che uniscono tra loro i vari membri della comunità, soprattutto quando sono dispersi, e i legami che li uniscono alla comunità, soprattutto quando ne sono separati, per poter esorcizzare il demone della contaminazione sovversiva a cui l'emigrazione espone e che la naturalizzazione consacra».
La vera prova dell'integrazione o del mantenimento dei legami con la terra di origine sarà la seconda, e soprattutto la terza generazione. Rimane da vedere se prevarrà la «volontà» di sentirsi italiani al 100% o se la crisi o i casi di discriminazione subita porteranno a un ripiegamento sulle proprie origini e a ipotesi di ritorno. Questa sarà la sfida che spetterà ai figli dei primi migranti che saranno magari in grado di esplorare e appropriarsi di una terza via, un nuovo modo di essere italiani-macedoni, in Italia, in Macedonia o altrove.
IMMIGRAZIONE DI CAPITALIDa sempre le migrazioni presentano anche aspetti positivi per i paesi nativi dei migranti. Le rimesse, infatti, aiutano la crescita del Pil nazionale. La Macedonia, così come altri paesi di emigrazione, si è resa conto dell'immenso potenziale delle rimesse e degli investimenti esteri, e ha dato vita a un processo per favorire gli investimenti in Macedonia. Il governo macedone, appoggiandosi a un'incisiva campagna mediatica, ha intrapreso riforme radicali per attirare e orientare gli investimenti da parte degli emigranti, portando la Macedonia a essere uno dei paesi con le tasse più basse in Europa. Ha offerto massicci incentivi agli investitori stranieri, promosso aree economiche libere e si è impegnato in una intensiva comunicazione con i singoli investitori. Due giovani macedoni incontrati al matrimonio, ad esempio, residenti in Italia dalla fine degli anni '90, ormai perfettamente bilingui e con una conoscenza profonda dei contesti italiano e macedone, stavano, proprio nel corso dell'estate, concludendo tutte le pratiche per dare vita ad un'attività di business transnazionale tra l'Italia e la Macedonia, con installazione di fabbriche e laboratori in Macedonia per la produzione di manufatti da vendere poi sul mercato italiano ed europeo.
Il futuro della Macedonia e della sue genti è ancora tutto da costruire, in patria e fuori.
Viviana Premazzi
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